Per gli amanti dei musical, esiste spesso una netta divisione tra chi li adora e chi non li tollera. Ricordo un mio compagno di scuola, molto intelligente ma forse troppo letterale, che criticava i musical dicendo: “Le persone non iniziano a cantare spontaneamente per strada”. Aveva ragione, ma allo stesso tempo era completamente fuori strada. Senza i musical, il mondo sarebbe un posto molto più triste; rappresentano una delle maggiori gioie del teatro e del cinema. Tuttavia, è fondamentale anche saper riconoscere quando un musical appare disperato e troppo calcolato. “Wonka”, purtroppo, sembra rientrare in questa categoria, cercando troppo arduamente di piacere e finendo per risultare più stancante che rivitalizzante.

Diretto da Paul King, mente creativa dietro i meravigliosi film di “Paddington”, “Wonka” è un prequel della storia originariamente creata da Roald Dahl nel suo romanzo del 1964 “Charlie e la fabbrica di cioccolato”. Il libro ha già ispirato diversi adattamenti cinematografici, tra cui la versione eccentrica ma affascinante di Tim Burton del 2005 con Johnny Depp, e il film del 1971 di Mel Stuart con Gene Wilder, la cui interpretazione leggermente malevola è per me il gold standard, o almeno uno standard avvolto in lamina d’oro, della rappresentazione di Wonka. Non è giusto paragonare il “Wonka” di King a questi film; si ispira a essi rispettosamente, anche se l’universo creato da King è proprio del film, nel bene e nel male.

Timothée Chalamet interpreta il giovane Willy Wonka che, all’inizio del film, termina un viaggio in mare di sette anni per approdare in una città che è un incantevole mix di Londra, Parigi e Austria. Soprattutto, è una città con una lussuosa galleria dove si può acquistare il cioccolato più pregiato del mondo. Il giovane Wonka sogna di aprire un proprio negozio; è arrivato con un piccolo armadietto di aromi rari e pozioni in bottiglia, ingredienti per i suoi dolci straordinariamente bizzarri: éclair che ringiovaniscono i follicoli piliferi, gobstoppers policromi che permettono di librarsi nell’aria, e così via. Scopriamo che la defunta madre di Wonka (interpretata in flashback da Sally Hawkins), ha trasmesso a lui tutti i suoi segreti sulla preparazione del cioccolato, oltre a incoraggiarlo a perseguire i suoi sogni.

Tuttavia, il percorso di Wonka verso il successo è ostacolato da un trio di malvagi cioccolatieri (interpretati da Paterson Joseph, Matt Lucas e Mathew Baynton) determinati a impedirgli di avere successo. Un ostacolo ancora maggiore è rappresentato dalla malvagia locandiera e lavandaia, la signora Scrubitt (Olivia Colman), e dal suo trasandato scagnozzo Bleacher (Tom Davis), che lo truffano facendolo lavorare nella loro lavanderia finché non potrà saldare il conto dell’hotel gonfiato artificialmente. Fortunatamente, Wonka fa amicizia facilmente, e tra i personaggi bloccati nella lavanderia della signora Scrubitt c’è un orfano intelligente di nome Noodle (Calah Lane), che aiuta Wonka a imparare a leggere.

Il film affronta temi come l’importanza della lettura, il valore di perseguire i propri sogni e la natura malvagia dei monopoli aziendali. Tuttavia, sembra che questi temi siano solo un pretesto per appendere i numeri musicali. “Wonka” include alcuni brani classici della versione del 1971, sebbene la maggior parte delle canzoni siano nuove e scritte da Neil Hannon. Il numero di apertura, “A Hatful of Dreams”, ha un’atmosfera classica degli anni ’60, e Chalamet lo canta con un tono piacevole e traslucido, dimostrando anche di essere un ottimo ballerino.

Wonka” è un film che cerca deliberatamente di portare gioia, ma si chiede se la gioia possa essere veramente manipolata con pulsanti e manopole, con scenografie grandiose ma piatte, e con numeri musicali che sottolineano l’importanza dei sogni, della meraviglia e dell’amicizia, senza però riuscire a trasmettere veramente queste sensazioni. Sappiamo già che queste cose sono importanti; vogliamo sentirne il battito. “Wonka” offre tutto tranne quella sensazione vitale e vibrante.

Voto: 5/10

Il film “Wonka” sembra lottare troppo per i suoi piaceri, risultando più stancante che ispiratore. Nonostante le buone intenzioni e alcuni momenti brillanti, non riesce a catturare pienamente lo spirito e la magia che ci si aspetterebbe da un musical di questo calibro.